L’uguaglianza di genere è un obiettivo che molti Paesi non sono ancora riusciti a raggiungere. Troppo spesso le donne sono viste come un possesso nelle mani degli uomini, oggetto di disciminazione sociale e legislativa.
Da tempo la Comunità internazionale si adopera per garantire la parità di diritti tra i due generi. Ad esempio, il primo paragrafo dell’articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani specifica l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro sesso. Inoltre, sono state ratificate diverse convenzioni internazionali in materia, come la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), la Dichiarazione universale sull’eliminazione della violenza contro le donne e la Dichiarazione e Piano d’azione di Pechino.
Il Regno del Bahrein, nonostante i recenti tentativi e la ratifica delle suddette convenzioni, è uno di quei Paesi in cui i diritti delle donne sono ancora lontani dall’essere affrontati. La discriminazione di genere è infatti presente sia nella legislazione nazionale che nel Codice penale, il quale consente ancora allo stupratore di non affrontare le conseguenze giuridiche nel caso in cui decidesse di sposa la propria vittima (art. 353 del Codice penale).
Le madri bahreinite non possono tramandare ai figli la propria cittadinanza, lasciandoli privi di diritto di base. Infine, queste incontrano ancora diverse limitazioni nella loro capacità di partecipare alla vita politica e la disuguaglianza salariale di genere persiste sia nel settore pubblico che in quello privato.
In conformità con le regole della legge islamica, l’uguaglianza di genere nei settori politico, sociale ed economico è stata garantita dalla Costituzione del Bahrein del 2002, che ha posto le donne degli uomini su un piano di parità. Tuttavia, tale riconoscimento di base viene smentito nel momento in cui il medesimo dettato normativo afferma che “la famiglia è la pietra angolare della società, la forza che risiede nella religione, nell’etica e nel patriottismo“, indicando che il Paese mantiene ancora una posizione tradizionale e conservatrice nei confronti del genere femminile. Infatti, se da un lato le donne hanno il diritto di votare e di candidarsi alle elezioni locali e nazionali, dall’altro sono soggette ad una forte pressione sociale che le obbliga moralmente a rimanere in casa e prendersi cura della famiglia.
L’ambiente domestico è probabilmente quello in cui le donne bahreinite sono più in pericolo. Nell’aprile 2021, il Tafawuq Consulting Center to Support Women’s Issues ha pubblicato uno studio sulla violenza domestica contro le donne in Bahrein rilevando che il 49% delle donne, almeno una volta, è stata soggetta a violenza fisica, l’ 84% a violenza psicologica il 44,5% a violenza economica all’interno delle mura domestiche.
Le donne bahreinite sono discriminate anche da molte disposizioni della legge sulla famiglia. Ad esempio, se per un uomo il diritto di divorziare dalla moglie è assoluto e ha effetto immediato, la donna non ha diritto alla decisione unilaterale, è infatti necessario che vi sia sempre e comunque anche il consenso dell’uomo. In caso di rifiuto da parte di quest’ultimo, sono disponibili solo due opzioni: procedere con un divorzio legale, con tutto ciò che ne consegue, oppure appellarsi al “Khul” (il processo in cui la donna è tenuta a pagare al marito una somma di denaro per annullare il matrimonio). Inoltre, ai sensi dell’art. 40 della Legge sulla famiglia (19/2017) è altresì negata alla donna la libertà di essere titolare della volontà di procreare: le è severamente vietato infatti di adottare misure per impedire di avere figli senza il consenso del marito. Disposizione, questa, in netta contrapposizione con quanto sancito dalla CEDAW.
Il governo del Bahrein impedisce quotidianamente alle donne difensore dei diritti umani di esercitare i propri diritti di libera espressione e associazione. Il Centro per i diritti umani del Bahrein (BCHR) ha documentato che dal 2011 al 2015 circa 300 donne attiviste per i diritti umani sono state arrestate con accuse basate sull’esercizio dei diritti di libera espressione, associazione e altri diritti fondamentali. Esempi di queste azioni sono l’arresto nel 2016 della leader del Comitato per le petizioni delle donne Ghada Jasheer, della figlia del difensore dei diritti umani Al-Khawaja, Zainab al-Khawaja e di una tra le più importanti attivisti del paese Ebtisam AlSaegh.
Come spesso accade per i difensori dei diritti umani di sesso maschile, anche le donne vengono arrestate senza mandato di perquisizione e sottoposte ad aggressioni fisiche, psicologiche e sessuali durante gli interrogatori; le confessioni forzate vengono poi usate come prova per la condanna sempre più spesso emessa sulla base di false accuse legate al terrorismo.
ADHRB invita il governo a rispettare i propri obblighi in materia di diritti umani, attuando la legge nazionale nel rispetto della Dichiarazione universale dei diritti umani, della CEDAW, della Dichiarazione universale sull’eliminazione della violenza contro le donne e della Dichiarazione di Pechino.