La libertà di parola sancisce il diritto di un individuo o di una comunità di esprimere le proprie convinzioni e idee pubblicamente, senza temere rappresaglie, censure o ripercussioni legali. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto la libertà di parola e/o espressione come un diritto fondamentale, inserendolo nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Tale libertà non è però un diritto illimitato. Secondo infatti quanto riportato dall’ICCPR, il diritto d’espressione comporta “doveri e responsabilità specifiche […]pertanto essere soggetto a determinate restrizioni” quando necessario “per il rispetto dei diritti o della reputazione altrui” o “per la protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico (ordine pubblico), o della salute morale pubblica ”
Oggi, la libertà di espressione rimane in Bahrain una delle sfide principali nella società civile. Come è stato evidenziato tramite il terzo ciclo dell’UPR, le autorità bahrenite sono artefici di centinaia di casi di arresto contro individui che hanno meramente esercitato la propria libertà di espressione, a dimostrazione di un totale disinteresse da parte delle autorità nel proteggere e salvaguardare tali fondamentali principi democratici. Congiuntamente alla popolazione, anche giornalisti, attivisti e media continuano a essere perseguitati, presi di mira e arrestati a discapito della libera esercitazione della loro professione. Secondo Freedom House il Bahrein si classifica come il sesto peggior paese in termini di libertà di stampa ed espressione.
Come molto spesso accade anche in materia legislativa, il Bahrein presenta una narrazione contraddittoria. Da un lato, la Costituzione garantisce la libertà di parola e di stampa, dall’altro, il Codice Penale dà spazio alla persecuzione della stessa. Infatti, il dissenso esplicato attraverso una critica al governo è spesso incriminata come “insulto a regime”, crimine per il quale un individuo può arrivare a scontare una pena massima di sette anni, così come è accaduto nel caso di al-Khawaja, arrestato per aver strappato una foto del re. Inoltre, le leggi sul terrorismo (o leggi antiterrorismo) hanno ampliato la definizione del concetto di “terrorismo”, con la conseguente limitazione, se non proibizione, di qualsiasi forma di libertà di parola a dispetto del regime. In questo modo il governo, anzichè proteggere e garantire i diritti politici e la libertà di parola, targhetizza il dissenso come terrorismo.
Qualsiasi atto può essere interpretato come una minaccia alla sicurezza o come una minaccia al regime, rendendo il lavoro degli attivisti o dei giornalisti alquanto inattuabile senza sanzioni o restrizioni. Allo stesso modo, per quanto riguarda i media, la legislazione delimita le attività e la libertà di parola al “rispetto del Regno”, implicando una sostanziale censura. La situazione è aggravata dalle numerose leggi sulla criminalità informatica (in particolare quella del 2009 e quella del 2002) finalizzate a bannare qualsiasi sito web e testata giornalistica che tenti di criticare il governo e la famiglia reale. Tali siti web, come ad esempio quelli delle ONG, sono percepiti come focolai di organizzazioni terroristiche finalizzati a “turbare l’ordine pubblico e la morale“. Di conseguenza tutti i tipi di media digitali, così come i giornali, devono richiedere una licenza annuale per poter lavorare e pubblicare materiale in rete. A partire dal 2011, il controllo di Internet da parte delle autorità è stato inoltre spesso utilizzato per ostacolare il lavoro e l’organizzazione dei movimenti di opposizione nel territorio bahreinita e all’estero.
Dunque, l’aumento della sorveglianza governativa ha portato alla persecuzione di giornalisti e attivisti che sono stati torturati e arrestati con l’accusa di terrorismo. Dal 2012 più di 4.000 persone sono state imprigionate solo per aver esercitato il loro diritto di parola. Ai giornalisti è stato proibito di viaggiare all’estero o di impegnarsi con terze parti. Inoltre, i giornalisti stranieri che desiderano visitare il Paese devono attenersi alle norme nazionali e di conseguenza limitare il loro lavoro di reportage. Ad esempio, nel 2017, la giornalista statunitense Anna Day è stata arrestata per aver riportato la situazione in cui versano i diritti umani nel Paese. Allo stesso modo, alcune troupe televisive britanniche sono state espulse e il team di BBC News arrestato nel tentativo di raccogliere la copertura mediatica delle proteste.
Come si può constatare, nel corso degli anni, il governo non ha fatto altro che aumentare il controllo dei media e delle pubblicazioni, ostacolando la libertà di parola e di scrittura. Le pene per questi c.d “crimini federali” sono state inasprite nella speranza di scoraggiare le persone ad esprimere il proprio dissenso pubblicamente.
ADHRB invita il Bahrain a rispettare i propri obblighi in materia di diritti umani, attuando la legge nazionale in relazione alla Convenzione Internazionale sui diritti politici e civili dell’uomo e alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nonché rilasciando immediatamente e senza condizioni tutti coloro incarcerati ingiustamente per aver esercitato il diritto alla libertà di parola ed espressione.