La libertà di parola sancisce il diritto di un individuo o di una comunità di esprimere le proprie convinzioni e idee pubblicamente, senza temere rappresaglie, censure o ripercussioni legali. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto la libertà di parola e/o espressione come un diritto fondamentale, inserendolo nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Tale libertà non è però un diritto illimitato. Secondo infatti quanto riportato dall’ICCPR, il diritto d’espressione comporta “doveri e responsabilità specifiche […]pertanto essere soggetto a determinate restrizioni” quando necessario “per il rispetto dei diritti o della reputazione altrui” o “per la protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico (ordine pubblico), o della salute morale pubblica ”.
L’Arabia Saudita presenta un regime politico composto da una monarchia islamica assoluta, pertanto, la popolazione non ha la possibilità di influire nella formazione del governo (se non per l’elezione dei consigli comunali), così come non ha accesso a un processo elettorale libero e universale. Tantomeno è possibile esprimere un’opinione in forma di opposizione politica. L’unica forma di dibattito politico contemplato è il majlis, una consultazione con le autorità governative riservata principalmente agli uomini. É opportuno sottolineare in questa sede che il regime saudita prevede l’elezione di amministrazioni comunali, che solo a partire dal 2015 ha aperto le porte anche alle donne, con molte difficoltà e vari ostacoli. Tuttavia, la partecipazione politica è informalmente negata ai gruppi minoritari.
I difensori dei diritti umani ed attivisti politici sono quotidianamente vittime di soprusi ed abusi di potere. Sebbene durante il vertice internazionale del G20 del novembre 2020 le autorità giudiziarie abbiano concesso una tregua nella promulgazione di sentenze penali nei loro confronti, nell’ultimo periodo si assiste ad una ripresa incessante di condanne. In particolare la Saudi Specialized Criminal Court (SCC) ha giudicato chiunque avesse criticato l’operato del governo o espresso opinioni contrarie alla narrativa governativa sugli sviluppi politici o socio-economici del Paese. Ad esempio molti attivisti dei diritti umani e politici sono oggi vittime di persecuzioni continue. La loro unica colpa è stata quella di esprimere pubblicamente (ad esempio su Twitter) la propria opinione, ma la SCC ha inflitto dure sentenze di detenzione così come ha imposto onerose restrizioni della libertà personale a seguito dello sconto della pena detentiva, tra cui divieto di circolazione internazionale e la cancellazione degli account sui social media.
Tra i casi più noti:
A marzo, l’SCC ha prorogato di tre anni la pena detentiva di Mohammad al-Otaibi, membro fondatore dell’Unione per i diritti umani in Arabia Saudita. La pena è stata estesa solamente a causa delle sua attività, in cui configurava anche l’idea di una nuova organizzazione per i diritti umani.
Abdulrahman al-Sadhan, dipendente della Mezzaluna Rossa Saudita a Riyadh, ad aprile è stato condannato a 20 anni di carcere e gli è stato imposto il divieto di viaggiare dopo la sua scarcerazione.. Le accuse a suo carico riguardano una serie di tweet satirici e critici nei confronti delle politiche economiche del governo e della forma di governo del Paese. Inoltre, è stato accusato di aver “preparato, memorizzato e inviato ciò che avrebbe minato l’ordine pubblico e i valori religiosi” e di aver “offeso le istituzioni e i funzionari statali e diffuso false voci contro di loro“.
Attualmente, almeno 192 persone sono in carcere per attivismo, critiche ai leader o alle politiche del governo, offese all’Islam o ai leader religiosi o per aver pubblicato post “offensivi” su Internet. Tra gli attivisti di spicco troviamo Raif Badawi, Mohammed al-Qahtani, Naimah Abdullah al-Matrod, Maha al-Rafidi, Eman al-Nafjan, Waleed Abu al-Khair e Nassima al-Sadah; chierici, tra cui l’ex imam della Grande Moschea Salih al-Talib, e figure del movimento Sahwa come Safar alHawali, Nasser al-Omar e altri. Questi sono solo alcuni esempi che riflettono come la popolazione dell’Arabia Saudita sia gravemente colpita da continue limitazioni del diritto alla libertà di espressione.
ADHRB invita il governo a rispettare i propri obblighi in materia di diritti umani, adattando la legge nazionale alla Convenzione sui diritti dell’uomo e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nonché rilasciando immediatamente e incondizionatamente tutti coloro che sono detenuti per attivismo politico pacifico.