Negli ultimi anni, e in particolare a partire dal luglio 2021, le autorità dell’Arabia Saudita hanno intensificato la rappresaglia nei confronti dei migranti yemeniti. Questi sono stati sottoposti ad una miriade di abusi perpetrati per mano dalle autorità saudite, tra cui la detenzione arbitraria, le restrizioni discriminatorie sulle pratiche di impiego e la perdita dei mezzi di sussistenza a causa della risoluzione ingiustificata dei contratti di lavoro. La gravità di questi abusi è stata così estrema da costringere migliaia di professionisti yemeniti a fare ritorno nel proprio stato dilaniato dal conflitto e dalla grave crisi umanitaria attualmente in corso.
Nell’ambito dell’attuazione delle politiche della Vision 2030 di Mohammed bin Salman, dal 2017 i lavoratori migranti sono sottoposti a regole sempre più severe. Ad esempio, è stata inizialmente imposta una tassa annuale di 100 riyal per ogni accompagnatore in ingresso nel paese saudita, questa però sta aumentando sempre di più con il passare degli anni, rendendo quasi impossibile ai lavoratori migranti di viaggiare con le loro famiglie. Non solo le tasse per gli accompagnatori sono aumentate costantemente, ma sono aumentate anche le tasse per i lavoratori stessi. Codificata nella legge saudita, la tassa imposta ai lavoratori migranti si basa sulla proporzione tra professionisti stranieri e cittadini sauditi sul posto di lavoro: se il numero di lavoratori stranieri è superiore a quello dei cittadini sauditi, i migranti devono pagare 800 riyal al mese, in caso contrario, i lavoratori stranieri dovranno solo 700 riyal. Questa si aggiunge ancora alla tassa che i lavoratori pagano al loro sponsor secondo quanto codificato dal sistema kefala. Infine, oltre a richiedere varie tasse mensili, le autorità saudite hanno anche attuato la cosiddetta politica di “sauditizzazione“, che vieta ai lavoratori migranti di essere assunti in determinati settori.
La riluttanza dei funzionari sauditi ad adattare umanamente le proprie politiche e a fare concessioni in risposta alla pandemia globale ha creato un ambiente ancora più angusto e ingiusto di quello pre-pandemia. In un momento in cui le grandi aziende avevano già provveduto all’esubero di molti lavoratori migranti e gli alti tassi di risoluzione dei contratti avevano portato a un ampio contingente di professionisti yemeniti costretti a partire ma impossibilitati a viaggiare, il governo saudita ha permesso alle aziende del settore privato di ridurre gli stipendi dei lavoratori fino al 40%, con l’ulteriore possibilità di licenziamento.
Secondo una stima del governo yemenita del 2020, più di due milioni di yemeniti vivono in Arabia Saudita. Le rimesse dei lavoratori migranti sono diventate un’ancora di salvezza vitale per l’economia devastata dello Yemen. Nel 2017 la Banca Mondiale ha stimato che queste ammontano a circa 2,3 miliardi di dollari l’anno. Le statistiche del Ministero della Pianificazione e della Cooperazione dello Yemen indicano che le rimesse inviate dall’Arabia Saudita rappresentano il 61% del totale delle rimesse stesse. Non sarebbe esagerato quindi affermare che le rimesse sono uno degli unici elementi economici e mezzi di sostentamento rimasti alla popolazione yemenita. Nonostante siano comprensibilmente diminuite dall’inizio della pandemia, le azioni del governo saudita non hanno fatto altro che esacerbare la situazione dei professionisti yemeniti e ad aggravare le sofferenze di coloro che sono rimasti o sono stati costretti a tornare.
Nel luglio del 2021, il Ministero delle Risorse Umane saudita ha emanato un nuovo pacchetto normativo per i lavoratori migranti, imponendo alle imprese un quorum percentuale di lavoratori migranti a seconda della nazionalità, ad esempio, oggi un’azienda saudita può avere ad organico solo il 25% di cittadini yemeniti. A metà agosto era evidente che i licenziamenti di massa erano principalmente indirizzati nei confronti dei lavoratori yemeniti tra cui personale medico, accademico e altri professionisti. Sebbene i funzionari sauditi si siano astenuti dal commentare o dall’offrire una motivazione per questi licenziamenti di massa, fonti anonime hanno riferito che queste pratiche discriminatorie avevano lo scopo di creare posti di lavoro per i cittadini nativi del sud, nell’ambito degli sforzi per ridurre la disoccupazione saudita dell’11,7%, e come rappresaglia contro gli yemeniti a causa dei combattimenti in corso tra la coalizione a guida saudita e il gruppo Houthi dello Yemen.
Oltre a essere licenziati senza motivo, i lavoratori yemeniti sono stati anche detenuti arbitrariamente. In base alle statistiche fornite dal MOI nel 2018, circa due milioni di persone sono state arrestate, 500.000 delle quali sono state espulse. Nel corso di una sola settimana nel marzo 2022, gli arresti di massa da parte delle autorità saudite hanno portato alla detenzione di 15.000 migranti, la maggior parte dei quali provenienti dallo Yemen.
Nonostante la scarsità di dati sulle condizioni dei centri di detenzione e deportazione in Arabia Saudita, i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani offrono un quadro delle condizioni disumane e degradanti delle condizioni di detenzione. Dei rapporti recenti hanno rivelato che le autorità saudite hanno condotto perquisizioni di massa nei centri di detenzione con l’obiettivo esplicito di confiscare i telefoni e tutti i dispositivi che potrebbero essere utilizzati per trasmettere le immagini del degrado al mondo esterno. La tempistica di questa escalation di repressione è stata descritta come un tentativo di evitare che gli abusi vengano denunciati durante il Ramadan, cosa che rischierebbe di suscitare critiche internazionali e ulteriori disordini nella regione durante il mese sacro. È stato inoltre riferito che le forze dell’ordine hanno chiesto ai lavoratori migranti e ad altre persone destinate alla deportazione di firmare accordi di non divulgazione che vietano loro di condividere le loro esperienze. Sebbene le testimonianze di abusi nei centri di detenzione siano ancora limitate, le dichiarazioni dei migranti sul loro trattamento umiliante in strutture insalubri e sovraffollate sembrano corrispondere alla valutazione del personale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e di altre agenzie delle Nazioni Unite che sostengono gli sforzi di soccorso nei centri di accoglienza per i rimpatriati in Yemen e in Etiopia.
Nonostante i rapporti di numerose organizzazioni per i diritti umani e il Gruppo di lavoro sull’Esame periodico universale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite abbiano espresso preoccupazione per il sovraffollamento e le condizioni precarie delle strutture di detenzione in Arabia Saudita, paesi Occidentali come gli Stati Uniti e il Regno Unito rimangono in silenzio. Il rifiuto dell’Occidente di affrontare questi temi è ancora più infimo alla luce dell’evidenza del riconoscimento dei maltrattamenti. Usando come capro espiatorio i lavoratori migranti yemeniti e rescindendo i loro contratti a causa della guerra, le autorità saudite li stanno colpevolizzando e costringendo a fare ritorno alla crisi umanitaria che pervade lo stato yememita.
Dall’inizio della guerra nel 2015, gli attacchi alle infrastrutture civili da parte della coalizione a guida saudita sono stati frequenti: gli attacchi hanno preso di mira scuole, ospedali, mercati e infrastrutture agricole e idriche. Le ricadute ambientali di questa guerra includono la distruzione degli ecosistemi, l’aumento dell’inquinamento e di polveri tossiche così come la contaminazione del suolo e delle falde acquifere. Tutto ciò ha portato a un persistente e crescente impoverimento della popolazione e alla diffusione di malattie, contribuendo allo sfollamento forzato di 4 milioni di persone. Oggi, circa 5 milioni di persone sono soggette a carestie e malattie, mentre 29 milioni per sopravvivere sono costrette a fare affidamento sugli aiuti stranieri.
L’impatto collettivo della guerra e della coalizione a guida saudita ha avuto un effetto devastante sui civili. Secondo le Nazioni Unite, gli attacchi aerei della coalizione hanno ucciso o ferito circa 20.000 civili. Inoltre, una ricerca condotta dal Washington Post mostra che la coalizione è responsabile del 67% degli attacchi e della distruzione delle infrastrutture nel Paese. Questi attacchi includono il bombardamento del settore agricolo aggravando la carenza di cibo. La distruzione deliberata di infrastrutture sanitarie, igienico-sanitarie, agricole e idriche in uno dei Paesi con la maggiore insicurezza idrica al mondo è stata definita una violazione del Diritto Internazionale Umanitario.
Il silenzio da parte di Stati Uniti e Regno Unito è un altro esempio del contributo dell’Occidente allo “acuto divario di responsabilità” per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani da parte dell’Arabia Saudita nella guerra in Yemen. Sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno firmato la Dichiarazione universale dei diritti umani (DUDU), che all’articolo 3 sancisce il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona. Con il loro continuo sostegno alla coalizione e la loro riluttanza ad affrontare le più ampie violazioni dei diritti umani perpetrate dall’Arabia Saudita nei confronti dei lavoratori migranti yemeniti, stanno indirettamente violando questa protezione fondamentale. Se il governo saudita continua a discriminare e a colpire ingiustamente i professionisti yemeniti, i lavoratori migranti che non sono in grado di trovare un altro datore di lavoro che funga da sponsor continueranno a essere costretti a lasciare il Paese o ad affrontare la deportazione. Per gli yemeniti, questo può significare un rischio concreto per la loro vita.