1. INTRODUZIONE
Nel corso dell’ultimo decennio tra i paesi responsabili di atroci violazioni dei diritti dell’uomo è diventato sempre più comune fare ricorso alla pratica del “whitewashing” per promuovere un’immagine positiva dell’operato dei propri governi. Difatti, associando questi ultimi ad eventi di spicco a sfondo sportivo, culturale o politico, i riflettori della comunità internazionale si sono spostati dai comportamenti e dalle pratiche domestiche adottate dai paesi in questione verso le relazioni ed interazioni internazionali di questi stessi attori. Questa pratica può essere definita come il tentativo intenzionale di un paese di camuffare e nascondere fatti inaccettabili od incriminanti riguardanti le sue politiche interne[1]. Nello specifico si possono distinguere diversi tipi di whitewashing. Il più frequente è lo “sportswashing”, ovvero quella pratica volta a supportare ed investire ingenti somme di denaro in eventi o club sportivi. In particolare, questo fenomeno è da ritenersi di grande attualità poiché, generalmente parlando, sport e politica sono ambiti separati l’uno dall’altro. Pertanto, è da considerarsi alquanto improbabile che durante una competizione, nazionale od internazionale che sia, l’attenzione possa concentrarsi sulle politiche interne di una nazione o sulla sua rispettiva situazione in materia di diritti dell’uomo. Ne consegue che lo sportswashing ha dimostrato di essere una pratica altamente attuabile ed efficiente in termini di miglioramento del prestigio internazionale dei paesi che vi ricorrono, oscurando in tal modo le violazioni domestiche dei diritti umani.
Molte organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International, Human Rights Watch e Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (ADHRB), hanno denunciato e condannato numerosi casi di whitewashing in relazione a violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Nonostante il fenomeno del whitewashing sia ampiamente diffuso, e causi comuni preoccupazioni, questo report si concentrerà specificamente sulla regione del Golfo dove la pratica del whitewashing, più precisamente dello sportswashing, ha conosciuto negli ultimi anni un utilizzo sempre maggiore. Alcuni esempi di whitewashing perpetrati da Bahrein, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti saranno quindi illustrati in seguito, così come verranno presentate le iniziative avanzate da alcune ONG per contrastare il suddetto fenomeno. Seguirà una breve conclusione con qualche suggerimento in materia.
2. BAHREIN
Il governo del Bahrein si serve in larga misura ed in numerosi ambiti della pratica del whitewashing, in particolare nello sport, ma anche ed in primo luogo nel contesto istituzionale del paese. Diverse ONG hanno infatti sottolineato come il governo del Bahrein abbia dato vita ad una serie di istituzioni di facciata per monitorare formalmente le violazioni dei diritti umani. Tuttavia, tali entità sono inefficaci nella pratica e sono soggette all’influenza ed al controllo da parte di istituzioni governative, quali per esempio il Ministero dell’Interno. L’Istituto Nazionale per i Diritti Umani (NIHR) – istituito dalla legge n. 26 del 2014 – è un esempio lampante di whitewashing istituzionale. Come descritto nel sito ufficiale del NIHR, il suo scopo è quello di far fronte responsabilmente ed urgentemente alle questioni riguardanti i diritti dell’uomo, provvedendo così allo sviluppo di politiche relative alla promozione, allo sviluppo ed al rispetto dei diritti umani in Bahrein.[2]
Nonostante ciò, è risaputo che il NIHR celi costantemente le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità del Bahrein. A questo proposito, ADHRB ed altre ONG hanno messo in luce come il sistema giudiziario nel paese sia corrotto e manchi di indipendenza ed imparzialità, al contrario di quanto richiesto dagli standard internazionali di diritto umanitario. Il NIHR sostiene che il controllo sulle decisioni giudiziarie o sulle osservazioni avanzate in fase di processo non sia di sua competenza. Al contrario, ADHRB sostiene che il NIHR abbia pieno diritto di monitorare le procedure giudiziarie, condurre visite, ed accedere alle informazioni necessarie per il raggiungimento del suo obiettivo.[3]
Un esempio di funzionamento fallace del NIHR può essere facilmente individuato in un episodio del 2018, durante il quale tre attiviste per i diritti umani detenute nel carcere femminile bahreinita di Isa Town hanno sporto una denuncia contro le intimidazioni rivoltegli da parte delle autorità. Una di queste denunce riguardava l’impossibilità delle detenute di praticare la loro fede. In tale occasione, il NIHR ha inizialmente negato l’appello delle tre attiviste per poi affermare che le donne avevano il diritto di pregare senza restrizioni. Nonostante il Segretario Generale delle Nazioni Unite (ONU) abbia direttamente trattato di questi abusi[4], il NIHR ha fermamente sostenuto che le violenze da parte delle autorità non hanno in alcun modo causato l’avvenuto ricovero in ospedale di una delle tre donne. Possiamo quindi affermare che il NIHR contribuisce ad occultare le pratiche di tortura o maltrattamenti di attivisti, difensori dei diritti umani o leader di ONG locali.
Inoltre, la famiglia reale Al-Khalifa ha deliberatamente e ripetutamente utilizzato pratiche di sportswashing. Nel 2002, il Re del Bahrain erogò una considerevole somma di denaro per ospitare il Gran Premio di Formula 1 e, sin dal 2004, tale evento viene riproposto nel paese con cadenza annuale, come concordato con la Federazione Internazionale dell’Automobile. Facendo continuo ricorso alla pratica dello sportswashing, la famiglia reale bahreinita ha dato vita nel 2015 ad una delle migliori squadre di triathlon al mondo, denominata “Bahrain Endurance 13”. Come messo in luce da ADHRB, questo nome fa esplicito riferimento al gruppo di attivisti politici di spicco arrestati in seguito alle proteste del 2011 e condannati a lunghi periodi di detenzione. La dicitura “Bahraini Endurance” è stata deliberatamente scelta dalle autorità del Bahrein con l’obiettivo di sminuire l’importanza e la rilevanza politica di tale gruppo di attivisti. Pertanto, come nel caso in analisi si è creata una nuova associazione con la squadra di triathlon, la strategia di governo in questione ha permesso, e permette tutt’ora, di riflettere sulla scena internazionale un’immagine positiva del paese e di chi ne detiene le redini.[5]
Il Regno del Bahrain ha continuato ad utilizzare questa celebre tattica investendo denaro in attività di successo quali quelle calcistiche del Cordoba CF e del Paris FC, o quelle ciclistiche della Bahrain-McLaren. Nel frattempo, le violazioni dei diritti umani sono una tragica e risaputa realtà. Ad esempio, nel marzo 2019, pochi giorni prima del Gran Premio di Formula 1 del Bahrain, Amnesty International ha elencato alcune problematiche nel paese: (a) twittare è considerato un crimine agli occhi del governo, (b) i difensori dei diritti umani sono ancora socialmente perseguitati e condannati, (c) i numeri riguardanti la popolazione apolide del Bahrein sono in crescita, (d) i prigionieri sono intenzionalmente trascurati ed (e) le figure dell’opposizione non possono candidarsi alle elezioni.[6] Anche il principe Nasser bin Hamad al-Khalifa, figlio del Re Hamad, ha negli anni torturato i manifestanti per i diritti umani e minacciato gli atleti che hanno preso parte alle manifestazioni.[7]
Il 25 novembre 2020, Amnesty International ed altre 16 ONG hanno inviato una lettera congiunta alla Formula 1 esponendo le proprie preoccupazioni relativamente ai diritti umani in Bahrein[8], quindi denunciando le pratiche di sportswashing in corso. Nello specifico, le ONG hanno esortato la Formula 1 a sfruttare la propria influenza per garantire giustizia, responsabilità, e risarcimento per le vittime di abusi legati al Gran Premio del Bahrein, tra cui Najah Yusuf, arrestata e torturata per le critiche sollevate verso il gioco nel 2017.
3. ARABIA SAUDITA
Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, gran parte dell’attività di whitewashing si concretizza attraverso importanti investimenti da parte del governo in ambito sportivo. Tuttavia, ci sono stati anche tentativi di occultamento delle violazioni dei diritti umani tramite l’organizzazione e la sponsorizzazione di eventi internazionali di grande rilevanza, come i vertici del G20 e del C20 del 2020, o tramite l’implementazione di politiche domestiche che aspirano prima facie a garantire grandi libertà ed emancipazione. Negli ultimi anni, gli investitori in Arabia Saudita, perlopiù associati al governo, hanno iniziato a finanziare importanti società ed eventi sportivi, promuovendo così una buona immagine del paese che possa convogliare ricchezza e benessere ed allo stesso tempo spostare i riflettori dalle condizioni dei cittadini sauditi incarcerati per l’esercizio delle loro libertà.
L’esempio più recente è l’acquisizione da parte dell’Arabia Saudita del Newcastle United FC all’inizio di ottobre 2021. La sezione di Amnesty International del Regno Unito ha criticato pesantemente la Premier League per aver permesso a persone provenienti da paesi con record negativi di diritti umani di investire ed impegnarsi con le migliori squadre della lega[9]. Nonostante il fatto che alla Premier League sia stato più volte richiesto di attuare politiche specifiche in materia di rispetto dei diritti umani, ad oggi, nessuna politica di questo tipo ha visto la luce. Tenendo conto dell’acquisizione del Newcastle United FC da parte di investitori sauditi, Amnesty International ha pertanto deciso di rinnovare la sua proposta alla Lega ed ha inviato una lettera dettagliata con possibili modifiche.[10]
Allo stesso modo Human Rights Watch (HRW) ha condannato l’acquisizione del suddetto club come un tentativo di sportswashing, rammentando che già in passato il governo saudita ha adottato una tale strategia nel mondo dello sport. Inoltre, tenuto conto del fatto che la stessa Federation Internationale de Football Association (FIFA) detiene ed è soggetta ad una specifica politica in materia di diritti umani, HRW ha fatto presente che, prima che l’Arabia Saudita potesse effettuare l’acquisto del Newcastle United FC, si sarebbe dovuto implementare un meccanismo di due diligence nei confronti sia dei proprietari che dei direttori tecnici del club sportivo. Difatti, Human Rights Watch ha a lungo richiesto alla Premier League di prendere in maggiore considerazione i diritti umani, ed i particolari indicatori che denotano il rispetto di questi, oltre al richiedere l’adozione di una policy a tale riguardo in fase di considerazione delle offerte di potenziali acquirenti dei club sportivi.
Rimanendo in ambito calcistico, l’Arabia Saudita ha da qualche anno uno specifico accordo con la lega calcio italiana per quanto riguarda la partita che assegna la Supercoppa italiana. Sia Amnesty International che il sindacato dei giornalisti per l’emittente televisiva di stato Rai hanno scritto nel 2019 una lettera congiunta alle squadre di calcio italiane chiedendo loro di non prendere parte alla competizione a causa della preoccupante situazione dei diritti umani in Arabia Saudita. L’accordo prevede che tre partite vengano disputate nel corso dei successivi cinque anni.
L’Arabia Saudita ha ospitato altri importanti eventi sportivi come la Formula E, il campionato di boxe, la Tennis Cup Diriyah ecc. Un altro esempio di whitewashing è il progetto Vision 2030, direttamente derivante dai tentativi del Principe erede al trono Mohammed bin Salman di rivedere ed avvalorare l’economia della nazione, incoraggiando gli investitori stranieri ed i turisti a visitare l’Arabia Saudita. Tale strategia, che ha importanti precedenti nella storia del paese, ha tuttavia conosciuto una crescita vertiginosa dopo il brutale assassinio del giornalista Jamal Kashoggi avvenuto nel 2018. Infatti, gli eventi organizzati con lo scopo di ripulire l’immagine pubblica della nazione agli occhi della comunità internazionale, sono diventati uno strumento di fondamentale utilità per distogliere l’attenzione dagli abusi dei diritti umani perpetrati dal governo saudita, avendo a loro volta l’effetto di non attribuire alcun tipo di responsabilità agli individui che pongono in essere tali atrocità. Ciò è avvenuto non solo per quanto riguarda l’omicidio di Jamal Kashoggi, ma anche in occasione del conflitto armato in Yemen.
È possibile riscontrare un ulteriore tentativo di whitewashing nell’organizzazione del Women 20 Summit (W20) svoltosi in Arabia Saudita nel mese di ottobre 2020. Un evento del genere ha ricoperto un grande ruolo nel quadro di promozione dell’immagine di un paese più progressista con disperato bisogno di proiettare la sua apertura al mondo, mantenendo allo stesso tempo attivisti e difensori dei diritti umani in prigione per aver liberamente e legittimamente dissentito con l’opinione delle autorità. Nello specifico, l’attivista Loujain al-Hathloul è stata arrestata per aver protestato contro il divieto di guida delle donne, poche settimane prima che fosse revocato.
Inoltre, nel 2020 l’Arabia Saudita ha ospitato il vertice del G20 suscitando severe critiche. Amnesty International ha esortato i leader del G20[11] a cogliere l’occasione per denunciare le sistematiche violazioni dei diritti umani inflitte da parte dell’Arabia Saudita e difendere, parallelamente, gli attivisti ancora incarcerati mentre il paese tentava di delineare un’immagine libertà, trasparenza e sviluppo. In concomitanza con il vertice del G20, l’Arabia Saudita ha ospitato il vertice C20 per le società civili. Tuttavia, Amnesty International e altri attori come Transparency International e Civicus si sono rifiutati di partecipare a quella che hanno definito “una presa in giro” in quanto importanti attivisti sauditi sono stati incarcerati per le loro attività e le uniche società civili nazionali che era previsto partecipassero al vertice erano rigorosamente controllate dal governo. Infatti, l’intero processo del C20 è stato guidato dalla King Khalid Foundation, ente associato alla famiglia reale saudita, quindi non trasparente od indipendente nel suo funzionamento. L’Arabia Saudita era quindi disposta ad ospitare la società civile internazionale e a lasciarli discutere su come migliorare le libertà, mentre la maggior parte degli attivisti sauditi erano incarcerati per aver esercitato i propri diritti. Inoltre, le autorità saudite hanno volutamente negato la partecipazione ai partiti politici ed ai sindacati nazionali, non consentendo a nessun tipo di rappresentante di esprimere e difendere la volontà del popolo saudita.
4. EMIRATI ARABI UNITI
Poiché i fenomeni del whitewashing e dello sportswashing appartengono al comune filo conduttore della discriminazione dei diritti umani e degli abusi perpetrati in paesi con entrate finanziarie significative e record di diritti umani deplorevoli, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) non fanno eccezione a tale narrazione. Contrariamente all’immagine aperta, tollerante e rispettosa dei diritti che gli Emirati hanno tentato recentemente di promuovere di fronte alla comunità internazionale, la condizione interna dei diritti umani è tutt’altro che decente od accettabile, nascondendo una grande necessità di riforme.[12] In effetti, negli ultimi due decenni – e soprattutto a partire dalla nascita del movimento pro-democrazia legato alle Primavere arabe del 2011 – le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno volutamente schiacciato ogni forma di voce dissenziente. Di conseguenza, nessun difensore dei diritti umani ha voce in capitolo nel paese, e sia la libertà di espressione che lo spazio civico per il dialogo politico sono da considerarsi inesistenti. Ospitando e sponsorizzando dispendiosi intrattenimenti culturali ed educativi, gli Emirati Arabi Uniti hanno profondamente limitato la consapevolezza globale delle circostanze interne al paese, nascondendo così le domestiche faglie e violazioni dei diritti umani, invece di affrontarle. Questo è il motivo per cui, molte ONG impegnate nella causa dei diritti umani, hanno esortato gli attori della scena internazionale a boicottare le iniziative di whitewashing ed hanno invitato gli EAU a rispettare le norme di diritto internazionale.
In questo contesto, da quando il Relatore Speciale dell’ONU sull’indipendenza dei giudici si è recato negli Emirati Arabi Uniti nel 2014 ed ha pubblicato un rapporto che criticava duramente la mancanza di indipendenza del sistema giudiziario degli Emirati, è stato proibito a tutti gli altri Relatori Speciali di indagare sulle condizioni interne relative ai diritti dell’uomo.
Allo stesso modo, anche in contesto nazionale, giornalisti, letterati ed accademici, per lo più spaventati da eventuali rappresaglie da parte delle autorità, applicano l’auto-censura. Come riportato da Human Rights Watch, gli sforzi decennali del governo emiratino per ripulire la propria immagine sono stati esplicitamente precisati nella Soft Power Strategy del 2017. Nello specifico, questa strategia di governo ha come principale obiettivo il miglioramento di quella che viene considerata la “diplomazia culturale e dei media” del paese, così da poter attribuire agli EAU la reputazione di paese moderno e tollerante pronto ad accogliere individui provenienti da tutto il mondo[13]. Expo Dubai 2020 – con il suo significativo motto “Connecting Minds, Creating the Future” – è solo l’ultimo di una lunga serie di eventi educativi e culturali volti a riflettere il presunto impegno da parte degli Emirati a consentire il libero scambio di idee, e dare prova della grande apertura e tolleranza che il paese intende far permeare sulla scena internazionale.
Infatti, alcune delle iniziative più rilevanti promosse dal Governo Emiratino sono state il World Tolerance Summit 2018 – tenutosi a Dubai, nominata capitale mondiale della tolleranza – le Olimpiadi Speciali 2019 di Abu Dhabi e l’attuale World Expo di Dubai. In primis, l’aver reso Dubai una destinazione di viaggi di lusso è un’importante strategia di whitewashing del governo emiratino. Inoltre, il fenomeno dello sportswashing ha guadagnato terreno ed importanza nelle strategie estere del governo. Eventi importanti come l’organizzazione di gare di F1 e l’acquisto nel 2008 della squadra di calcio di Manchester City da parte di un miliardario della famiglia regnante di Abu Dhabi, sono il modo in cui questi paesi migliorano la loro reputazione, in particolare agli occhi dei paesi occidentali e dei principali mercati dei media, come dichiarato da Adam Coogle, Vice Direttore della divisione Medio Oriente e Nord Africa di Human Rights Watch[14].
Rilevanti stakeholders e istituzioni internazionali hanno chiesto al governo degli Emirati di porre immediatamente fine alle sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate all’interno del paese, ed hanno esortato la comunità internazionale a non partecipare agli eventi di whitewashing. Tra le iniziative internazionali intraprese per contrastare le violazioni commesse dagli Emirati Arabi Uniti, spicca la recente risoluzione del Parlamento europeo, in cui si esortano gli investitori e gli Stati membri dell’UE a boicottare l’Expo di Dubai 2020. In questo stesso documento, i Parlamentari hanno richiesto l’immediato e urgente rilascio di Ahmed Mansoor e di altri prigionieri di coscienza. Anche la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, ha chiesto al governo emiratino l’immediato rilascio di cinque attivisti per i diritti umani detenuti dal 2013. Quest’ultima ha affermato che i prigionieri non avrebbero mai dovuto essere detenuti fin dall’inizio, in quanto avevano legittimamente esercitato la propria libertà d’espressione[15].
In sintesi, come attestano le stime della Freedom House del 2021 – con un punteggio di 17 su un totale di 100 – l’accesso delle persone ai diritti politici e alle libertà civili negli Emirati Arabi Uniti è davvero molto deludente, attribuendo al paese lo status di “non libero”[16]. In tale contesto, è pertanto essenziale che la comunità internazionale non appoggi le violazioni dei diritti umani, ma le condanni fermamente.
5. CONCLUSIONE
In conclusione, questo report ha dimostrato che i paesi del Golfo sono molto propensi ad applicare pratiche di whitewashing – soprattutto di sportswashing – quando si tratta di rafforzare o ripulire la loro immagine internazionale. In particolare, un’iniziativa notevole che ha avuto luogo nei suddetti paesi per contrastare il fenomeno è #SaudiRegrets lanciata da Human Rights Watch. Il progetto, sviluppatosi alla fine del 2020, mira ad ostacolare ogni attività di whitewashing dell’Arabia Saudita attraverso la sensibilizzazione di attori, performer ed atleti invitati ad esibirsi in territorio saudita. In altre parole, la campagna chiede ai diretti interessati di far presente alle autorità saudite che non accetteranno i soldi del governo fintanto che l’obiettivo che si cela dietro l’organizzazione dei diversi eventi è, in primis, un tentativo di distogliere l’attenzione dalle violazioni di diritti umani. A questo proposito, la richiesta del Parlamento Europeo di boicottare l’EXPO Dubai 2020 suscita grandi speranze, e va a sottolineare il fatto che i diritti umani non sono totalmente messi in secondo piano dagli interessi economici e politici oscurati da interessi economici e politici.
Ci auguriamo che in un futuro prossimo ulteriori ONG, od attori di spicco della comunità internazionale, diano vita a nuove campagne simili a quella lanciata da Human Rights Watch in Arabia Saudita, allo stesso tempo assecondando e promuovendo il boicottaggio di pratiche di whitewashing.
[1] Oxford Dictionary available at https://www.oxfordlearnersdictionaries.com/definition/english/whitewash_1?q=whitewash.
[2] For more information see http://www.nihr.org.bh/EN/About/Brief.
[3] ADHRB Condemn the NIHR’s Whitewashing of Human Rights Abuses in Bahrain, August 2021 available at https://www.adhrb.org/2021/08/adhrb-condemn-the-nihrs-whitewashing-of-human-rights-abuses-in-bahrain/.
[4] Human Rights Council, Cooperation with the United Nations, its representatives and mechanisms in the field of human rights, September 2018, available at https://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=a/hrc/39/41.
[5]ADHRB, Bahrain’s “Sports Whitewashing” in Europe, November 2020, available at https://www.adhrb.org/2020/11/bahrains-sports-whitewashing-in-europe/
[6] Amnesty International, Bahrain: What lies behind the scenes of the Formula One Grand Prix, March 2019, available at
[7]See above 10, https://www.adhrb.org/2020/11/bahrains-sports-whitewashing-in-europe/.
[8]Amnesty International, Joint Letter to Formula One Raising Bahrain Human Rights Concerns, November 2020, available at https://www.amnesty.org/en/documents/mde11/3393/2020/en/.
[9] Amnesty International UK, Saudi-backed bid for Newcastle United must prompt football ownership rule changes, October 2021, available at https://www.amnesty.org.uk/press-releases/uk-saudi-backed-bid-newcastle-united-must-prompt-football-ownership-rule-changes.
[10] Amnesty International UK, Letter to Premier League calls for urgent human rights meeting after Saudi-Newcastle deal, October 2021, available at https://www.amnesty.org.uk/press-releases/uk-letter-premier-league-calls-urgent-human-rights-meeting-after-saudi-newcastle.
[11] Amnesty International, G20 leaders, don’t buy the spin: Saudi Arabia’s real changemakers are in jail, November 2020, available at https://www.amnesty.org/en/latest/press-release/2020/11/g20-leaders-dont-buy-the-spin-saudi-arabias-real-changemakers-are-in-jail/.
[12]Imprisoned Emirati activist saluted Abu Dhabi festival, March 2020, available at https://www.hrw.org/news/2020/03/05/imprisoned-emirati-activist-saluted-abu-dhabi-festival
[13] UAE: Tolerance Narrative a Sham, October 2021, available at
https://www.hrw.org/news/2021/10/01/uae-tolerance-narrative-sham-0
[14] Sportswashing: the Gulf-countries’ strategies to mask abysmal human rights record, July 2021, available at https://www.fairplanet.org/story/sportswahing-the-gulf-countries%E2%80%99-strategy-to-mask-abysmal-human-rights-records/
[15] Mary Lawlor calls AGAIN on UAE to release prominent human rights defenders, June 2021, available at
[16] Countries and Territories, available at https://freedomhouse.org/countries/freedom-world/scores?sort=asc&order=Political%20Rights