Due uomini del Bahrein sono stati torturati per fargli confessare atti di terrorismo. Con la sentenza di ultima istanza della Corte di Cassazione del Bahrein, Zuhair e Husain sono a rischio immediato di essere giustiziati.
Zuhair Ibrahim Jasim Abdullah, un ex ristoratore quarantenne, padre di cinque figli, è stato arrestato il 2 novembre 2017. Dopo il suo arresto, è stato trattenuto per 55 giorni in isolamento. Durante questo periodo sarebbe stato esposto a maltrattamenti e torture, tra cui nudità forzata, elettrofolgorazione, molestie sessuali e percosse. Durante la detenzione di Zuhair, anche sua moglie è stata picchiata in un’altra sede in casa sua e minacciata a colpi d’arma da fuoco e di stupro da ufficiali bahreiniti. Dopo 13 giorni di continui maltrattamenti in detenzione, Zuhair ha firmato una confessione forzata ottenuta sotto tortura dove ha ammesso diverse accuse, che sarebbero avvenute tra il 2012 e il 2017. Alcune di queste completamente inammissibili perché ottenute sotto tortura, erano l’appartenenza ad un’organizzazione terroristica, la partecipazione all’omicidio di forze di sicurezza, la fabbricazione e la detonazione di esplosivi.
Sebbene l’avvocato di Zuhair abbia dichiarato che non sono state presentate prove fisiche che lo collegassero ai crimini, Zuhair è stato condannato a morte e privato della cittadinanza il 29 novembre 2018 in un processo gravemente ingiusto. Il giudice ha rifiutato di emettere un’ordinanza del tribunale che consentisse all’Unità Investigativa Speciale (SIU) e all’Ombudsman del Ministero dell’Interno, due organi di controllo, di rivelare i risultati delle indagini sull’accusa di tortura di Zuhair. Mentre la cittadinanza di Zuhair è stata ripristinata il 15 giugno 2020, la sentenza di morte è stata confermata dalla Corte d’Appello del Bahrein.
Il giro di vite del governo
Con l’avvento della primavera araba del 2011, decine di migliaia di bahreiniti hanno partecipato a manifestazioni pacifiche in un movimento che chiede maggiori diritti civili, politici e umani nel loro Paese. Il governo ha risposto con una forza brutale, reprimendo la rivolta e attuando la repressione della società civile. Dal 2014, tale repressione si è intensificata con lo scioglimento dei partiti dell’opposizione e dei media indipendenti, la denaturalizzazione di massa, l’incarcerazione dei leader dell’opposizione, dei difensori dei diritti umani, degli attivisti e dei giornalisti e la repressione delle critiche online.
Dal 2012, il governo ha già notevolmente ampliato il suo codice penale, la legislazione in materia di antiterrorismo e la legge sulla criminalità informatica per limitare ampiamente la società civile e criminalizzare efficacemente tutte le forme di dissenso. Il governo del Bahrein ha anche demolito la sede di un giornale dell’opposizione, Al-Wasat. Inoltre, le proteste pacifiche e le assemblee continuano ad essere violentemente represse, con manifestanti giudicati colpevoli e condannati in processi di massa iniqui. In uno di questi nel febbraio 2019, 167 persone sono state condannate a pene detentive per aver partecipato a un sit-in pacifico nel 2016.
Infrangere la moratoria di fatto di sette anni sulla pena capitale
In seguito all’ondata di disordini politici, il Bahrein ha infranto la moratoria de facto di sette anni sulla pena capitale nel gennaio 2017. Il 9 gennaio 2017, la Corte di Cassazione del Bahrein ha confermato la condanna a morte di Ali Al-Singace, Abbas Al-Samea e Sami Mushaima. Il 27 luglio 2019, Ali Al-Arab e Ahmed Al-Malali sono stati giustiziati a meno di una settimana dall’esecuzione della loro condanna senza alcun preavviso per gli uomini e le loro stesse famiglie. L’Onu, il Parlamento Europeo e le Procedure Speciali hanno condannato l’uso della pena capitale in Bahrein.
Il Parlamento Europeo ha inoltre costantemente espresso la sua preoccupazione per le sanzioni del governo bahreinita contro la pena di morte, i procedimenti giudiziari iniqui e le pratiche di tortura. Il 24 novembre 2015 è stata posta un’interrogazione parlamentare da sei dei suoi membri, i quali hanno indagato sulle possibili misure che potrebbero essere adottate dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) per revocare le sentenze di esecuzione in Bahrein; queste ultime sono state recentemente ribadite il 21 gennaio 2020. Il 16 febbraio 2017 è stata inoltre votata una risoluzione sull’esecuzione. Il 20 dicembre 2019, venti membri hanno inviato una lettera a Shaikh Khalid bin Ali bin Abdullah Al Khalifa, il Ministro della Giustizia, degli affari islamici e del potere in Bahrein, esprimendo le loro preoccupazioni sul caso di due uomini bahreiniti, Ramadhan e Moosa, attualmente nel braccio della morte. Inoltre, nel 2016, il Parlamento Europeo ha adottato risoluzioni d’urgenza sui loro casi e sulle violazioni dei diritti umani in corso in Bahrein. Nel 2018, gli Special Rapporteurs dell’ONU si sono rivolti al Re del Bahrein dichiarando la loro preoccupazione per 20 uomini nel braccio della morte, tra cui Zuhair Ibrahim Jasim Abdullah.
Ciononostante, il Bahrein continua a mostrare disprezzo per il giusto processo legale e per gli standard internazionali, utilizzando il sistema giudiziario come strumento per mettere a tacere i dissidenti politici. Due anni dopo, il 27 luglio 2019, il governo del Bahrein ha giustiziato Ali Al-Arab e Ahmed Al-Malali. Attualmente, 26 prigionieri politici e non politici sono nel braccio della morte in Bahrein, dieci hanno terminato tutti i rimedi legali, due sono in appello (Mohamed Ramadan e Husain Moosa) e sette sono in esilio. Gli organi di controllo del Bahrein incaricati di indagare sulle violazioni dei diritti umani, come l’Istituto nazionale per i diritti umani (NIHR), l’Unità Investigativa Speciale (SIU) e l’Ombudsman del Ministero dell’Interno (MOI), sono stati criticati dalle organizzazioni internazionali, tra cui il Comitato delle Nazioni Unite contro la Tortura, per la loro mancanza di indipendenza, efficacia, mancato rispetto degli standard internazionali e complicità nel coprire le violazioni dei diritti umani.
La violazione del diritto internazionale da parte del Bahrein
Il governo del Bahrein ha continuato a ricorrere alla pena capitale, anche se gli UN Special Rapporteurs hanno in precedenza esortato il Bahrein a ripristinare l’abolizione de facto della pena di morte. Inoltre, il Paese viola la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti, gli Articoli 7, 9 e 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e il secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, che mira all’abolizione della pena di morte, che il Bahrein non ha ancora firmato, e l’Articolo 12 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. Secondo il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura del 2017, lo stesso processo e il trattamento in corso di coloro che si trovano nel braccio della morte non rispettano gli standard internazionali di un processo equo. Inoltre, il Re del Bahrein ha ratificato un emendamento costituzionale che ha permesso il processo militare ai civili e ha portato alla condanna a morte di sei uomini. L’emendamento viola fondamentalmente il diritto internazionale e gli standard per un processo equo, come riconosciuto dall’ICCPR.
Si tratta di un appello comune e urgente tra gli americani per la democrazia e i diritti umani (ADHRB) e l’Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura (ACAT Francia).
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