Le forze dell’autorità dell’Internal Security Service (ISS) in Oman sono state attive nel prendere di mira gli attivisti pro-riforma per aver criticato il governo sui social media. Dopo le rivolte della primavera araba del 2011, l’Oman ha intensificato le restrizioni alla libera espressione nel Paese. Human Rights Watch (HRW) ha segnalato un evidente modello di repressione della libertà di espressione, rilevando che molti critici si trovano ad affrontare molestie e minacce di ambigue accuse penali per attività ritenute offensive nei confronti del sultano o del Paese. Blogger e attivisti online vengono arrestati e detenuti, fino a diversi anni, per aver criticato le politiche delle autorità. I tribunali dell’Oman condannano questi attivisti alla prigione sulla base di leggi vagamente definite che reprimono la libertà di parola.
Hassan al-Basham, ex diplomatico e attivista online per i diritti umani, è stato regolarmente condannato in prigione per aver difeso i prigionieri di coscienza e per aver insultato Dio e il sultano Qaboos bin Said al-Said. Nei social media, al-Basham ha discusso di argomenti economici, religiosi, politici e sociali. Di conseguenza, è stato arrestato per la prima volta il 17 settembre 2015 dall’ISS e condannato a tre anni di carcere per quelli che sono stati considerati post offensivi sui social media. A causa del deterioramento delle sue condizioni di salute, il 17 gennaio 2017 l’Alta Corte dell’Oman ha revocato la condanna a tre anni di carcere. Le richieste per una visita medica di al-Basham sono state ignorate ed egli è purtroppo deceduto durante la detenzione nelle carceri dell’Oman.
Nell’agosto 2016, il governo dell’Oman ha ordinato la chiusura del giornale Azzaman dopo la pubblicazione di due articoli che accusavano i massimi funzionari dell’Oman di aver fatto pressioni sulla magistratura per modificare la sentenza su un caso di eredità. I tribunali hanno accusato il giornale di aver violato le leggi sulla libertà di espressione pubblicando le notizie. Il caporedattore Ibrahim al-Ma’mari, il vicedirettore Zaher al-Abri ed il giornalista Yousef al-Haj sono stati tutti arrestati dopo l’immediata chiusura di Azzaman. Al-Ma’mari e al-Haj sono stati accusati di aver abusato di internet per pubblicare i dettagli di una causa civile. Al-Abri è stato accusato di aver utilizzato internet per la diffusione di materiale e di aver minato il prestigio dello Stato. La Corte d’Appello di Muscat ha ordinato il rilascio di al-Ma’mari e al-Haj dopo aver ridotto la loro cauzione a 2.000 riyal ciascuno. Al-Abri è stato inoltre rilasciato su una cauzione di 5.000 riyal. Il 5 ottobre 2017 la Corte suprema dell’Oman ha ordinato la chiusura definitiva del giornale Azzaman.
Nel 2017, Amnesty International ha chiesto al governo dell’Oman di porre fine alle vessazioni nei confronti della famiglia di Mohammed al-Fazari. Al-Fazari è il fondatore e redattore capo di Muwatin Media Network ed è stato arrestato e detenuto innumerevoli volte per aver insultato il governo e aver minato il prestigio dello Stato. Il 22 dicembre 2014, al-Fazari è stato sottoposto ad un divieto di spostamento ed è stato fermato dalle forze di sicurezza all’aeroporto internazionale di Muscat. Il suo passaporto e la sua carta d’identità sono stati confiscati sul posto. Sua moglie Badriya al-Ma’mari è stata temporaneamente detenuta il 30 gennaio 2017 insieme ai suoi due figli al valico di frontiera di al-Wajajah per le azioni del marito. Il suo passaporto, insieme a quello dei figli, è stato confiscato da funzionari governativi. Dal 2017, al-Fazari risiede nel Regno Unito, dove ha ottenuto asilo e protezione dal governo dell’Oman.
Il 14 gennaio 2018, l’Oman ha emanato un codice penale rivisto che aumenta la pena per la violazione delle leggi che reprimono la libertà di espressione. La pena per aver commesso calunnie contro il sultano è stata aumentata da 6 mesi di carcere a 3-7 anni di carcere ai sensi dell’Articolo 97 del Codice Penale. Ai sensi dell’Articolo 269 c.p., la pena per aver commesso blasfemia contro l’Islam è stata aumentata a 10 anni di carcere. Queste leggi hanno reso esponenzialmente più difficile per autori come Saeed al-Hashimi e Suleiman al-Maamari pubblicare libri che potrebbero parlare male del governo e mettere in pericolo la vita dei difensori dei diritti umani e degli attivisti che chiedono la responsabilità del governo.